Un accordo...e tutto il resto
La mediazione turca spinge Somalia ed Etiopia verso l'accordo ma altri fattori peseranno sull'esito dell'iniziativa
I fatti
Il 12 dicembre, dopo 7 ore di colloqui, la Turchia ha annunciato il raggiungimento di un’intesa tra Somalia ed Etiopia in merito alla disputa per l’accesso al Mar Rosso, esplosa quasi un anno fa con la firma di un MoU firmato da Addis Abeba e la regione autonoma del Somaliland (ex Somalia Britannica). Tralascio la parte in cui critico tutto il sensazionalismo con cui si è scritto di questa notizia (è Natale, siamo tutti più buoni) per andare direttamente ai fatti.
Cosa stabilisce l’accordo?
L’intesa non risolve la disputa ma stabilisce una road map per giungere a una soluzione.
Entro febbraio i tecnici di Somalia ed Etiopia dovranno incontrarsi per discutere di una soluzione che garantisca l’integrità territoriale somala e salvaguardi l’accesso dell’Etiopia al Mar Rosso.
Dal primo incontro tra i tecnici le parti avranno 4 mesi di tempo per trovare (e sottoscrivere?) un accordo che ponga fine alla disputa.
Sicuramente la dichiarazione di Ankara rappresenta un passo verso la distensione tra Somalia ed Etiopia che fino a due settimane fa interagivano solo per provocarsi reciprocamente se non addirittura per insultarsi. Tuttavia, va sottolineato come sul tema dell’accesso al Mar Rosso Mogadiscio e Addis Abeba restano distanti. Secondo alcune testimonianze infatti, il premier etiope avrebbe cercato fino all’ultimo di far cancellare dal testo della dichiarazione la parte in cui l’Etiopia si impegna al “rispetto dell’integrità territoriale” somala e avrebbe ceduto solo dopo un’interposizione personale (dura) di Erdoğan.
La delicatezza delle trattative, nonostante l’impegno preso dalle parti, è dimostrata anche dal fatto che la presidenza turca ha annunciato che Erdoğan visiterà Etiopia e Somalia a inizio 2025 per verificare l’avanzamento dei colloqui. Insomma Mogadiscio ed Addis Abeba saranno sorvegliati speciali di Ankara, fatto che rafforza le possibilità di riuscita della mediazione ma che la dice lunga sull’effettivo livello di fiducia tra le parti.
Vince Erdoğan
L’unico dato certo e incontrovertibile della dichiarazione di Ankara è che ha vinto Erdoğan. “L’animale più spregiudicato di caoslandia” (copyright Daniele Santoro) in una sola settimana è riuscito a rafforzare la propria sfera di influenza in Siria e a mettere una seria ipoteca sul futuro del Corno d’Africa. Secondo i retroscena che sono trapelati dal vertice di Ankara, il presidente turco non ha esitato ad imporsi nettamente sulle parti. “Nessuno lascerà questa stanza senza prima aver trovato un accordo” avrebbe detto il presidente turco in un momento acceso dei colloqui. L’accordo di Ankara, con tutte le sue incognite, corona l’impegno turco nel Corno d’Africa, frutto di una penetrazione politica, commerciale e militare travolgente iniziata più di 10 anni fa è che ha avuto il suo fulcro in Somalia. Qualche esempio: il porto di Mogadiscio è gestito dalla Turchia, la principale banca turca opera con diverse filiali in tutto il paese, le compagnie energetiche turche stanno esplorando i fondali a largo dello stato autonomo del Puntland per il petrolio, nei prossimi messi la Turchia dovrebbe aprire una fabbrica di missili in Somalia per testare vettori a lunga gittata e razzi spaziali. Il tutto mentre soldati turchi addestrano gli omologhi somali e droni turchi supportano l’offensiva contro Al-Shabaab.
Insomma la domanda da porsi non è tanto come Erdoğan abbia convinto le due parti a mettersi sulla strada della mediazione quanto chi se non lui potesse riuscire ad ottenere questo risultato.
E adesso?
Come dicevo prima, la mediazione non risolve la disputa tra Etiopia e Somalia ma rappresenta sicuramente un passo in avanti. Sull’esito effettivo della mediazione peseranno infatti almeno tre fattori.
La poizione del Somaliland
Le prime reazioni del nuovo governo di Hargeisa sono state moderate. Il neoeltto presidente Irro si è congratulato con gli omologhi per il raggiugimento di questa prima intesa ma ha anche sottolineato come le tratative tra Etiopia e Somalia non modifichino la validità nè influenzino l’implementazione dell’accordo di intenti con l’Etiopia. Il nuovo presidente del Somaliland ha criticato il memorandum di intesa firmato dal suo predecessore e in campagna elettorale ha promesso di rinegoziare i termini dell’accordo per renderlo più vantaggioso per Hargeisa. La riapertura delle trattative tra Etiopia e Somalia rappresenta un’opportunità per il Somaliland di far valere il proprio piccolo ma rilevante peso politico sulle parti. Hargeisa non può sabotare un’intesa tra i due paesi, ma non può essere nemmeno ignorata.
Trump e il riconoscimento del Somaliland
Come ho scritto qui è molto probabile che la nuova amministazione Trump decida riconoscere il Somaliland come stato indipendente. Il giorno dopo l’accordo di Ankara i repubblicani hanno presentato la proposta di legge che prevede il riconoscimento diplomatico dello stato del Corno d’Africa alla Camera dei Rappresentanti. Il tempismo nella presentazione della proposta di legge lascia presagire che la nuova amministrazione potrebbe essere interessata a procedere con il riconoscimento del Somaliland indipendentemente dall’esito mediazione turca. Resta da vedere se e come evolverà il dibattito parlamentare americano tuttavia, la possibilità del riconoscimento del Somaliland è presa sul serio anche a Mogadiscio. Questa settimana infatti, il governo Federale Somalo ha ingaggiato una società di lobbying per gestire i rapporti con la nuova amministrazione americana…
I rapporti tra Turchia e USA.
Al netto dei possibili sviluppi sul riconoscimento del Somaliland, gli equilibri del Corno d’Africa dipenderanno in larga misura dai rapporti tra Washington e Ankara. Il ritorno del tycoon alla Casa Bianca apre alla possibilità di un riavvicinamento con la Turchia dopo alcuni malumori registrati sotto l’amministrazione democratica, che considerava l’autonomia turca su alcuni dossier – come i rapporti con Mosca – eccessiva.
In questo contesto, il Corno d’Africa potrebbe diventare non solo un laboratorio per testare il rafforzamento delle relazioni con Ankara ma anche per delineare ciò che potrebbe essere il “Trump 2.0” in politica estera. Nella visione di the Donald, la regione potrebbe essere governata da un concerto di potenze, che, dal punto di vista americano, dovrebbe includere oltre alla Turchia anche l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti. Washington delegherebbe così il dossier dello state building in Somalia ad Ankara e Abu Dhabi, rafforzando la prorpria presenza sullo stretto di Bab-El-Mandeeb grazie all’intesa con un Somaliland indipendente…